Nero d'Ombra

La vena espressionista che, negli ultimi anni, si è venuta rinvigorendo in alcuni paesi come la Germania e l'Italia, sta forse a denotare un'urgenza di riaffermare alcuni elementi della quotidianità e di dare maggior peso a quelli che sono i rapporti che possiamo ben definire esistenziali tra gli uomini e il mondo, tra il singolo individuo e l'ambiente che lo circonda. Nicola Salvatore - dopo una fase della sua ricerca che aveva visto un lento espandersi dei suoi interessi a partire da un universo piuttosto favolistico e magico, verso quello più convulso e concitato della civiltà contemporanea, - presenta oggi una serie di vaste tele dove la vivacità del colore, (in precedenza ancora soffocata), la ricchezza materica, l'intensitàgestuale non sono più « castigati » dalle velature d'un tempo e lasciano apparire con maggior intensità quelle che sono le caratteristiche più genuine e native dell'artista.
Ma quello che colpisce, già a una prima osservazione, in queste tele (e nei bozzetti a tempera o a pastello) - tele molto vaste, molto immediate, spesso (persino eccessivamente) abbozzate eppure cariche di umori e di violenti contrasti - è la singolare e quasi compulsiva volontà di « amputare » le figure pur tracciate con maestria d'impianto, e immediatezza espressiva. « Amputare », ho detto, perché è indubbia la volontà di sottrarre a queste immagini femminili la loro compiutezza.
Si tratterà della testa troncata come in « Cane al guinzaglio », o in « Segni curvi », dell'intero corpo quasi annullato come in « Belle epoque »; delle gambe e dei piedi recisi quasi crudelmente, come in « Donna che corre »;... ma in tutti questi dipinti, risulta evidente, da un lato, l'urgenza di fissare - quasi a mò d'istantanea fotografica - un gesto, un tic, un evento; dall'altro, quello di valersi dell'apparente preteste illustrativo, dell'iconicità della resa, per una ben diversa finalità: quella di giungere alla partizione della tela secondo una peculiare sintassi espressiva. Lo si può riconoscere esplicitamente nel dipinto « Segni curvi », - uno dei più interessanti assieme a « Belle epoque » - dove la scomparsa di tutta la parte superiore del corpo non desta più nessuno stupore nell'osservatore, né richiede complicate spiegazioni « logiche », di fronte al tentativo di realizzare un dipinto, non tanto « astratto » (ossia il « non figurativo »), quanto rivelatore d'uno stato d'animo, d'una gestualità, d'un atteggiamento, che, tragga la sua autentica ragione d'essere. Una ragion d'essere per la quale si potrebbero, troppo facilmente, invocare motivazioni di tipo freudiano (per questo impulso, credo istintuale e non concettualizzato, a infierire contro la compiutezza dell'immagine femminile, a obliterare una parte della stessa non saprei se piuttosto con sadismo o con « allegria »), ma per la quale, invece, credo si debba semplicemente ricorrere a ragioni d'ordine più estrinseco, come dicevo più sopra: ragioni compositive e tali che diano maggiormente e immediatamente il senso dell'estemporaneità dell'azione.
Pittura, dunque, della quotidianità e dell'estemporaneità, ma d'una estemporaneità che è capace di « amputare » al momento giusto tutto quanto non sia essenziale per l'opera stessa. E mi sembra che questa caratteristica si possa anche ricondurre alla particolare natura dell'artista: alla sua vivace attenzione per tutto quanto lo circonda, alla sua nativa spontaneità; e forse anche a un certo « stupore » di fronte all'incalzare degli eventi; per cui questi ultimi lavori potrebbero anche apparire come una testimonianza della sua indole di « uomo del sud », venuto a vivere e a operare tra le nebbie d'un paesaggio lacustre, troppo dolce e troppo attenuato rispetto alle asprezze luminose della costa campana, troppo consumistico e tecnologico rispetto all'atmosfera agricola e campestre della sua terra natale.

Gillo Dorfles