Un ritorno all'insegna del mito
La logica è una disciplina filosofica che insegna a ragionare in modo rigoroso e coerente. Il suo modello di costruzione del pensiero, impostato secondo uno sviluppo cronologico lineare e privo di contraddizioni, si oppone, fin dai primi secoli della civiltà greco-antica, a quello del mito, nel quale la razionalità si contamina con suggestioni archetipiche e racconti ancestrali, in cui la narrazione segue una dinamica circolare, tende cioè a ripetersi, spesso anche a contraddirsi. Questo scontro fra opposte modalità speculative viene riproposto in epoca recente da Nietzsche che, prima in un frammento della Gaia scienza, poi, in maniera più estesa e organica, nel Così parlò Zarathustra, si schiera a favore del mito, ipotizzando un movimento di "eterno ritorno" del tempo, un itinerario in cui gli eventi si replicano all'infinito. La dimensione "antilogica" a cui fa riferimento il titolo di questa mostra di Nicola Salvatore affonda le sue radici nella concezione che ho sin qui descritto. Il mito appartiene alla ricerca dell'artista campano fin dai suoi esordi, fin da quei dipinti apparentemente "logici", anzi persino scientifici, che costituiscono il ciclo delle Balene. La componente analitica di queste opere, ampiamente sottolineata dalla decostruzione delle sagome dei cetacei, dalla loro scomposizione anatomica eseguita a fini "di studio", viene di fatto smentita dal tono epico che caratterizza i soggetti. La balena è, allo stesso tempo, un animale e un monumento all'animale, ma è soprattutto la più letteraria e suggestiva creatura che popola i mari: sottoponendola a un processo decostruttivo, Nicola Salvatore non fa altro che indagarne e accentuarne gli aspetti mitici, gli elementi simbolici ed enigmatici che appartengono alla sua "aura". Non è da escludere, inoltre, che questi cetacei dalle molteplici sfumature di senso non possano essere considerati degli emblemi del periodo in cui sono stati realizzati, cioè di quegli anni Settanta in cui si sono ibridati razionalismo ideologico e mitologia dell'ideale, freddezza concettuale e calore rivoluzionario, esasperazione del presente e nostalgia di una sorta di futuro remoto, di un "sol dell'avvenire" dai connotati sostanzialmente regressivi e arcaici. Il mito dell'eterno ritorno, per potersi trasformare in storia, necessita di un viaggio, di un tragitto di allontanamento dall'orìgine, che Nicola Salvatore compie nell'arco di circa trentanni. Dapprima si tratta di un percorso all'interno della pittura, di un'esplorazione a vasto raggio dei suoi più significativi (e mitici) rappresentanti: da Carlo Carrà a Matisse, passando attraverso il rapporto fra Matisse e Seurat, i pittori della prima metà del Novecento sono i soggetti di un ciclo di disegni e collage realizzati all'inizio degli anni Ottanta. Poi - dopo una fuggevole incursione nel mondo della moda e dell'immaginario femminile attuata in una serie di dipinti eseguiti tra il 1984 e 1988 - inizia il percorso di scoperta e di pratica del linguaggio scultoreo.
L'avvicinamento a questo nuovo ambito estetico è graduale: avviene dapprima in modo implicito, tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta, con una contaminazione tra oggetti e superficie pittorica effettuata in un ciclo di lavori che utilizzano come supporto delle coperte. Quindi si esplicita nei Teatri dell'ombra esposti alla Pinacoteca civica di Como nel 1993, e si approfondisce nelle sculture plasmate nel corso degli anni Novanta, in cui la dimensione del mito tende a dilatarsi e a specificarsi nella versione magico-rituale dell'oggetti domestico eretto a totem, a strumento di un culto minore e quotidiano. A questo punto i tempi sembrano maturi, per quel ritorno a cui fa riferimento il mito descritto da Nietzsche. Ecco presentarsi di nuovo, nei lavori più recenti di Nicola Salvatore, il soggetto delle opere delle origini, quelle balene da cui ha avuto inizio il suo itinerario: ma arricchite di sfumature estetiche nuove, di ombre e volumi acquisiti durante un percorso che nessuna logica avrebbe potuto prevedere.
Roberto Borghi
L'avvicinamento a questo nuovo ambito estetico è graduale: avviene dapprima in modo implicito, tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta, con una contaminazione tra oggetti e superficie pittorica effettuata in un ciclo di lavori che utilizzano come supporto delle coperte. Quindi si esplicita nei Teatri dell'ombra esposti alla Pinacoteca civica di Como nel 1993, e si approfondisce nelle sculture plasmate nel corso degli anni Novanta, in cui la dimensione del mito tende a dilatarsi e a specificarsi nella versione magico-rituale dell'oggetti domestico eretto a totem, a strumento di un culto minore e quotidiano. A questo punto i tempi sembrano maturi, per quel ritorno a cui fa riferimento il mito descritto da Nietzsche. Ecco presentarsi di nuovo, nei lavori più recenti di Nicola Salvatore, il soggetto delle opere delle origini, quelle balene da cui ha avuto inizio il suo itinerario: ma arricchite di sfumature estetiche nuove, di ombre e volumi acquisiti durante un percorso che nessuna logica avrebbe potuto prevedere.
Roberto Borghi